Resta a Roma il processo per il crac Tercas: udienza a settembre

TERAMO – Resta a Roma il processo per il crac della Tercas. Lo hanno deciso questa mattina i giudici della nona sezione penale del tribunale di Roma nell’udienza in cui c’erano da sciogliere alcuni nodi procedurali, sulla base delle eccezioni sollevate dagli avvocati della difesa di alcuni dei 14 imputati. La più importante era quella di incompetenza territoriale, sottolineata da chi ricondurrebbe a Teramo l’origine dei reati contestati e per questo più propenso ad un processo condotto dalla magistratura teramana. Nulla di tutto questo, dunque: il dibattimento ha evitato il rischio di essere azzerato e proseguirà secondo un calendario che i giudici hanno già fissato. Se ne riparlerà a settembre, con una udienza più tecnica che sostanziale, nel corso della quale verranno affrontati ancora alcuni aspetti istruttori, con il processo vero e proprio che comincerà dunque a novembre, secondo la programmazione prevista. Già dalle prime battute, insomma, sono abbastanza chiari quali saranno i tempi di questo procedimendo giudiziario, se è vero che per arrivare all’avvio vero e proprio del giudizio saranno serviti 11 mesi dalla prima udienza, e almeno tre anni dal crac che ha portato la Banca Tercas, di fatto a scomparire in quella che erala sua originaria realtà creditizia locale. Sul banco degli imputati, lo ricordiamo, ci sono 14 imputati, che a vario titolo devono rispondere di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, appropriazione indebita, ostacolo alle funzioni della vigilanza, dei quali il principale è l’ex direttore generale Antonio Di Matteo, l’unico al quale vengono contestate tutte le imputazioni. L’altro imputato eccellente è l’ex presidente Lino Nisii, che però deve rispondere solo del reato di ostacolo alla vigilanza. Sono molte le parti civili, a partire da 25 piccoli azionisti – rappresentati dall’avvocato Renzo Di Sabatino per conto della Federconsumatori – dallla Fondazione Tercas, che nel crac ha perso il 65% del capitale azionario della banca, dalla Banca d’Italia, Bper e la curatela fallimentare di una delle aziende coinvolte nel default.